Qualche tempo fa ho visto un video in cui si parlava di talento a cura di Julio Velasco, ex tecnico della Nazionale Italiana di Pallavolo ed esperto di crescita e sviluppo personale. “Talento – diceva Velasco – è colui alla quale le cose gli vengono facili, ma che ha capacità di apprendimento e mantiene nel tempo questa capacitò di apprendimento. Lo sport è pieno di giocatori, ai quali da giovani le cose venivano facili, ma che però non sono arrivati. Perché hanno avuto un processo molto veloce di imparare certe cose, ma poi si sono fermati. Sono rimasti da 18 a 35 anni gli stessi giocatori. Non hanno imparato più niente”.
Capacità di apprendimento significa per me voglia di crescere ogni giorno di più, di imparare cose nuove, di allenarsi, di lavorare su difetti e punti deboli. Quando l’ho ascoltato mi è balzata alla mente un’immagine nitida, che ho avuto il piacere e l’onore di vedere dal vivo agli inizi degli anni ’90, ai tempi dei miei primi anni universitari. Gli attori principali erano i giocatori del Parma “dei miracoli” di Nevio Scala, protagonisti di una strepitosa scalata dalla serie B alla Coppa delle Coppe, nel giro di qualche anno.
Mi colpiva ciò che questo gruppo riusciva a fare alla fine di ogni partita: indipendentemente che avessero battuto la Juve o pareggiato con l’Udinese, ritornavano in campo tutti in insieme per una seduta di allenamento defatigante, una corsetta lenta di una decina di giri di campo, coperti da felpe e giubboni. Era stato il preparatore atletico Ivan Carminati a suggerire a Scala questo “strano” allenamento che aveva visto fare in Danimarca, ritenuto utile per lo smaltimento delle scorie muscolari e per un recupero più efficace della condizione psicofisica dei calciatori.
Non era (e non è) sicuramente facile trovare energia, motivazione e determinazione per correre ed allenarsi dopo 90 e passa minuti di gioco, quando non vedi l’ora di finire sotto la doccia. Ma quel Parma riusciva a farlo molto bene. Benarrivo, Melli, Zola e Asprilla – giusto per citare qualche nome – sapevano trovare il modo giusto per continuare ad allenarsi, mettendo a dura prova mente e corpo e lo facevano regalando sorrisi e scherzando tra loro. Rimanevo incantato ad osservarli, mentre il “Tardini” si svuotava lentamente. Ammiravo il loro spirito di sacrificio e la loro grande tenacia.
Con gli anni ho capito che crescere, divertendosi e provando piacere per ciò che si fa, è il modo più bello per affrontare le sfide della vita.